Al pozzo della speranza

Decido di partire, di mettermi per strada e camminare. Porto con me poche cose essenziali, che non possono mancare. Porto, soprattutto, il mio cuore, pieno. Anche troppo, pieno! A volte non riesco nemmeno più a sentirlo battere dentro di me, non riesco a raggiungerlo, a trovare casa nel segreto di quello spazio solo suo, solo mio. È come quando si dice che si è scoraggiati! Sì, manca il cuore alla vita!

Forse il vero cammino è proprio questo, è la strada che ti riporta al tuo cuore.

Decido di partire, allora. Ho visto un luogo e lì vorrei arrivare: si chiama Cerreto, sperso fra i campi, alla periferia del mondo. C’è silenzio, laggiù e una piccola chiesa, un santuario.

Un posto magnetico e incredibile, che è riuscito ad attrarre e sedurre, non si sa per quale forza della natura, un gruppo di sorelle, che ormai da decenni vivono insieme l’avventura della vita monastica carmelitana.

La piena dei sentimenti mi attraversa il cervello e la carne, a volte mi stanca, a volte mi rianima, mi accende. Il camminare mi aiuta, mi fa pulizia dentro l’anima, mi insegna anche a pregare!

Arrivo e mi fermo, presso la porta di questa casa, diversa da tutte le case. Mi siedo qui e c’è un pozzo. Non ho strumento per poter attingere acqua e vedo che il pozzo è profondo. Si sente il rumore lontano dell’acqua che fa eco, quasi venisse da un mondo che è altrove.

Depongo il peso dei bagagli portati con me e aspetto. Provo a svuotare anche il cuore, almeno un po’, per far spazio al nuovo giorno che nasce, al nuovo incontro di oggi, alla nuova visione che apparirà davanti ai miei occhi, al nuovo sperare che, io prego, sboccerà dal mio cuore, dalla carne perfino e dall’anima mia.

Arriverà, anche per me, Rachele, come racconta la sacra Scrittura, in quel giorno, nella vita del patriarca Giacobbe? Genesi 29 è uno dei capitoli più belli di tutta la Bibbia! In quelle righe è scritta la fuga del patriarca irrequieto eppur santo, innamorato di Dio; lì è disegnato lo spazio del suo sfinimento fatto di chilometri macinati nella solitudine, nelle domande, nel chissà che accadrà di me? Lì viene fissato quell’attimo eterno, in cui, ecco, tutto può nascere nuovo, tutto può ancora ricominciare.

C’è una pietra sulla bocca del pozzo e non si può attingere acqua per placare la sete, per dare risposta al desiderio del cuore, della vita, che dentro ti piange, dentro ti grida. Ma all’improvviso il dito di Dio scrive su questa pagina santa e piena di luce le parole di un miracolo, che ancora possiamo vedere accadere: Giacobbe vede Rachele. Lei arriva, presso quel pozzo dell’incontro, portando il gregge del padre e lui balza in piedi e solleva la pietra, rotola via quel peso di morte, che impediva di attingere acqua.

Come al mattino di Pasqua, quando la pietra fu ribaltata e il sepolcro rimase per sempre aperto al fiorire della Vita, potente, meravigliosa, più forte della notte, più bella e ridente della morte.

O come quando il Signore Gesù, nella sinagoga di Nazaret, la città in cui era stato bambino ed aveva imparato a succhiare la vita dai seni di Miriam, la fanciulla scelta da Dio per essergli madre, quel mattino di Sabato si alzò a leggere e aprì il rotolo del profeta Isaia. Revolvit, dice il testo latino, traducendo il passaggio del Vangelo di Luca, andando a cercare proprio lo stesso verbo stupendo usato poi da Matteo e da Marco per raccontare la potenza della Risurrezione. Le donne, andando al sepolcro, dicono proprio così: Chi ci rotolerà la pietra dal sepolcro?

Arriva Giacobbe, arriva il Signore Gesù, anche dentro la scena del nostro vivere, qui, del nostro cammino che chiede riposo, chiede sosta e intona il canto della speranza, del desiderio di ricominciare, dopo la notte, o dopo la morte. Non vale la pena, infatti, sperare, se non per risorgere, per cominciare a vivere, nuove creature, nuovi figli generati da Amore.

Davvero: chi mai potrà togliermi via la pietra che mi pesa sul cuore? Chi, se non Tu, mio Signore, potrà leggere ciò che sta scritto di me, sul rotolo del libro, che tieni, finalmente aperto, fra le tue mani?

Rimango qui ad ascoltarti, mentre mi racconti della tua vita intrecciata alla mia, del tuo Amore, che si dichiara al mio cuore e chiede di poter essere amato, di venir ricambiato. Qui sta la speranza, per me: nel fatto concreto che io posso dirti di sì, posso accettare il tuo amore, posso dire al mio cuore che sì, vale la pena, riamarti, dare fiducia a quanto mi dici, alla tua promessa di libertà, promessa di luce e di grazia.

Sr M. Anastasia di Gerusalemme

Carmelitane Ravenna

 

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