Se Dio fa fare esperienza della sua libertà che svincola e rilancia, la speranza che viene da lui assume i caratteri del dono imprevisto, libero, incondizionato. Si tratta di un dono calato nella storia, ma che non è prigioniero delle ambiguità della storia, quelle appunto che banalizzano la speranza. (Cfr. Roberto Toni, O.Carm., La preghiera del profeta Elia nei tempi di aridità spirituale (1Re18,41-46; Gc 5,13-18), “Mercoledì della spiritualità” Fraternità Carmelitana di Barcellona P.G. (ME), relazione 6 novembre 2024)
Pensando alla relazione dell’uomo con il creato nel quale Dio si manifesta, non posso non sentire l’incoraggiamento del profeta Elia, grande profeta ispiratore della spiritualità carmelitana che con la sua esperienza di ricerca e di ascolto del Signore degli eserciti, insegna ancor oggi a… sperare!
La speranza non è forse un dono straordinario per vivere veramente? Compagna nel cammino quotidiano per vivere autenticamente? La speranza non è banale illusione che tutto avrà un lieto fine: è l’istante da attraversare con la responsabilità di operare per il bene proprio, degli altri e del pianeta sul quale tutti abitiamo. Perché la speranza è prima di tutto una persona, Cristo Gesù. In Lui tutto è ricreato, tutto è ristabilito in un ordine che gradualmente riconcilia cielo e terra. La speranza è voce interiore più potente della morte e che davanti alla morte e alla distruzione rimane ferma, irrorata, sì, di lacrime umane che affrontano lutti, ma inalterata nella certezza della sua Provenienza. Già, la sua Provenienza, dono gratuito che viene dall’Alto, che suggerisce rettitudine e onestà di cammino, dono irrevocabile che attende di essere accolto in cuori di carne per essere alimentato da impegni quotidiani di relazione. Dono che salva dalla tristezza, dalla disperazione di chi, avvolto nella nebbia, pensa che il suo occhio non sia fatto per penetrarla. Salvezza che passa anche attraverso parole, gesti, atteggiamenti consueti ma trasfigurati, che costruiscono esperienze di vita nuova. La speranza ha linguaggi diversi, fatti anche di suoni e colori che attraverso il visibile, comunicano l’invisibile: indescrivibili e straordinari albe e tramonti generano “altezze spirituali” sprigionando bellezza, carezze di colori di un Artista che sa raggiungere il cuore con le Sue promesse. Una consolazione che non è suggestione, non è emozione, ma respiro di un creato in continua espansione. La speranza: strumento accordato che non offende, non calpesta, fa vibrare armonie che sollevano gli indigenti dalla polvere trattengono ciò che è esposto ad essere trascinato via da torrenti di fango, da cicloni, da pandemie. Come possiamo lasciare aperto il cuore alla vita nuova quando osserviamo la furia di venti e uragani che travolgono persone, case, ogni cosa, ingoiando storie e vissuti? Follia? L’esperienza di disperazione appartiene al nostro quotidiano, con intensità diverse. È ancora il grande profeta a testimoniarci come, nell’umana fragilità, Dio entra in punta di piedi e accompagna lo sguardo verso orizzonti inesplorati. Elia sperimenta la paura della minaccia di morte, la delusione di sentirsi migliore e non “protetto” da questa sua condizione presunta. Fugge, illudendosi di fuggire dalla verità di sé stesso. La sua preghiera è quella del disperato, che rivela forse una presunzione nutrita in passato ed ora clamorosamente smentita: essere migliore dei “padri” (cfr. 1Re 19,4). Ma JHWH non ascolta quella preghiera. Anzi, cerca di riprendere la guida del suo profeta, trasformando la sua fuga in un pellegrinaggio verso le origini. È così che Elia giunge all’Horeb e ripercorre alcuni tratti dell’esperienza di colui che è considerato il primo dei profeti, Mosè. Mentre si trova ne “la caverna” (cfr. Es 33,21-23), gli viene rivolta la parola di JHWH. La risposta di Elia alla domanda di Dio assume i contorni di una lamentazione; pare davvero difficile trarre Elia dallo stato di non speranza. La svolta è tutta nell’iniziativa di JHWH, che interpella il discernimento del profeta: vento, terremoto e fuoco non cambiano la situazione del profeta e il redattore nota che JHWH non era in essi. È invece la «voce di un silenzio impalpabile» (1Re 19,12) a determinare la svolta: Elia esce dalla caverna e si copre il volto alla presenza del Signore, quella presenza che qualifica la sua vita. (Cfr. Roberto Toni, La preghiera…) Vedi come il creato può essere manifestazione di una Presenza che sostiene il nostro cammino di verità?
La speranza è un ponte che raccorda l’opera del Creatore a quella della creatura che ha sempre la possibilità di collaborare con la Vita, mettendo in gioco le risorse ricevute. Perché la speranza trasformi la nostra vita a partire dalle piccole cose, occorre un “sì”. Il “sì” è la porta che si apre alla salvezza, il rifiuto è la catena che sbarra l’accesso alla grazia che trasforma, è il ripiegamento sull’acqua del potere, del controllo, dell’egoismo, che non disseta, ma devasta tutto ciò che incontra. L’equilibrio dell’Alleanza è compromesso e il creato lo comunica: anche questa comunicazione non è fatta di “parole di cui non si oda un suono” che l’orecchio umano non riesca a percepire. La speranza: meravigliosa alleanza sempre in atto tra Dio e l’uomo nella conferma, anche faticosa, dei nostri “sì” per custodire e coltivare il “giardino dell’incontro”, affidato dall’origine dei tempi alla nostra cura. È forse difesa urlata e necessaria della natura, questa speranza che presenta tante sfumature? Una natura scardinata che reagisce perché gli è stato tolto ciò che è suo, che è canale di trasmissione di un amore grande e generativo? E se noi ci rieducassimo all’ascolto del creato per imparare ad ascoltare i sussurri anche più lievi dei fratelli che il Signore ci affida? Non è poesia che percorre chilometri di superficie, ma incanto che scende negli abissi più preziosi. Per ascoltare è necessario saper restare in silenzio nel tempo opportuno, un silenzio che insegna a comprendere ogni comunicazione di un Dio comunicativo, che desidera ardentemente manifestarsi alla creatura amata. Ci attende ascetica fatica per non determinare noi tempi e ritmi se non per agevolare quelli della natura che si mette a nostro servizio. Elia appare come un profeta granitico, forte e sicuro, impavido, come Samuele con Saul e come Natan nei confronti di Davide. Paradossalmente è lui che provoca la siccità e la determina per anni in modo tragico: né pioggia e né rugiada, fin quando non sarà lo stesso profeta a comandarlo. Ricordiamo che il profeta è voce di Dio per gli uomini: qual è dunque il messaggio da cogliere nella sua esperienza? Egli, di fronte ad un re, Acab, che scende a compromesso con gli idoli, cerca di scuotere le coscienze perché in esse alberghi con forza l’interrogativo: “Chi è il Signore da seguire? La scelta è libera, e sempre viene indicata come libera (cfr. 1Re 18,21). Con il suo intervento, Elia compie una operazione di verità, di svelamento. E, come il seguito della narrazione mostra, porta egli stesso il peso di questa siccità (cfr. 1Re 17,7). (Cfr. Roberto Toni, La preghiera...)
Sulla propria pelle, Elia elabora una purificazione della speranza agganciata esclusivamente alla libertà della parola, della voce di Dio.
Entriamo, dunque, il quell’alito di vita, regolare, fedele e benefico, recuperando il Silenzio che ci abita come sorgente di rispetto anche per noi stessi. La speranza certa è che sempre e comunque siamo guardati, cercati, ritrovati e a nostra volta siamo chiamati a guardare, a cercare, a ritrovare. È la speranza di rimanere piccoli che si rivolgono confidenzialmente al Padre, vivendo consapevolmente e con gratitudine, la compassione per ogni creatura. “Io sono con voi tutti i giorni” ci ricorda Gesù: può mai Egli deluderci?
Sr Maria Joseph di Nazareth
Carmelitane di Cerreto di Sorano (GR)